Dovere, volere, potere e necessità
In psicoterapia si utilizzano differenti approcci e tecniche. Nel mio approccio utilizzo anche interventi di ‘revisione lessicale’, perché le parole che usiamo danno forma al nostro mondo. Come cito spesso: «le parole sono importanti».
Per questo motivo durante i colloqui con le persone che si recano nel mio studio cerco di prestare molta attenzione ai termini che utilizzano, soprattutto quando lamentano una situazione di disagio, sofferenza, insoddisfazione.
Il verbo che in genere mi fa suonare un campanello d’allarme in testa è dovere, o nella forma idiomatica ‘bisogna che’. Vorrei fare un inciso – forse un po’ complesso – al riguardo.
La locuzione ‘bisogna che’ la quale presa alla lettera potrebbe equivalere a ‘è necessario che’ nell’uso corrente diviene sinonimo di obbligo che è ben diverso da necessità.
Vi è inoltre il soggetto impersonale: forse si tratta di una forma troncata [e desueta] di ‘si abbisogna che’, la quale sembra chiamare in gioco una volontà superiore, un’entità generalizzata, non certo personificata come sarebbe nella frase ‘ho bisogno di’ che pur sottintendendo il soggetto lo indica come attivo e riconoscibile [io]. Esempio: nella vita si (ab)bisogna (di) nutrirsi, per sopravvivere – nella vita ho bisogno di nutrirmi per sopravvivere.
In sostanza, il ‘bisogna che’ viene utilizzato come un imperativo – devo fare! Come tale agisce nel nostro pensiero, negligendo l’origine di bisogno/necessità, comportandosi come una costrizione. Mi viene in mente l’adagio popolare che recita ‘Morire e pagare le tasse, bisogna! E pagare le tasse forse neppure’ solitamente in risposta ad un’imposizione esterna alla quale non si vuol sottostare e in tal uso di ‘bisogna’ non mi pare esservi l’ombra di una necessità – né del riconoscimento di una qualsivoglia utilità – in quel senso si tratta quindi di una coercizione.
Dovere
Vi siete mai accorti di quante volte ogni giorno utilizzate il verbo DOVERE?
Devo alzarmi presto, devo andare al lavoro/scuola, devo preparare il pranzo, devo sistemare casa, devo studiare, devo fare la spesa, devo portare/andare a prendere i figli a judo, devo andare dal meccanico/dentista/commercialista, devo passare a salutare i miei…e avanti: devo, devo, devo.
Ma davvero? Sono davvero tutti dei doveri? – ‘Ma certo! Non posso mica far a meno di recarmi in ufficio! Lo stipendio mi serve!’ – oppure ‘Certo! Se ho una carie in bocca ho bisogno di curarmi!’ – ah, ma allora la questione assume già altre sfumature. Hai necessità di recarti dal medico perché desideri stare meglio; hai necessità di andare al lavoro perché ti serve lo stipendio [ora tralascio tutti gli altri vantaggi dell’aver un impiego: ruolo, identità e status sociale, relazioni, gratificazioni, crescita personale etc etc…].
Se inizio a dire che ho necessità di un impiego perché mi serve uno stipendio, sto utilizzando una parola che deriva da servizio. È il lavoro/stipendio che mi serve ossia serve-a-me, non il contrario! Essi sono un mezzo al mio servizio: sentite come si ribalta il rapporto?
Voi direte: sì, grazie, ma al lavoro ci vado anche quando non ne ho voglia, quindi è un obbligo. Indubbiamente è un obbligo in virtù del contratto stipulato.
Ma il mio compito non è farvi notare il già noto. Il mio compito è sottolineare quanto si danno per scontate alcune realtà che sono prodotte da scelte e negoziazioni di cui ci dimentichiamo l’esistenza. Dite che non cambierà nulla nella pratica? Provare per credere! – e credere per vedere…ma di questo parleremo un’altra volta!
[non] potere
Se il verbo dovere riempie la bocca – e i pensieri – di coloro che mettono sulle proprie spalle il peso del mondo intero, come se tutto dipendesse da loro, trovo altrettanto diffusa la locuzione non posso tra coloro che si sentono impotenti e limitati, immobilizzati in stalli esistenziali.
Cosa significa non posso? Non ne ho la possibilità, non sono in grado, o più spesso non me lo permetto. In virtù di cosa? Di scelte personali, di obiettivi futuri…di aspettative altrui? Questi elementi sono indissolubilmente intrecciati tra loro, ma quanto prevalgono gli uni o le altre nelle nostre decisioni quotidiane e nel nostro modo di percepire la situazione? Quanto il non permetterci qualcosa dipende dal volere altrui?
Interrogatevi sul motivo per cui fate o non fate certe cose. Sono dinamiche subdole sapete, infatti se chiedeste apertamente a qualcuno con cui siete in relazione: ‘ma tu mi vieti di fare questa cosa?’ facilmente otterreste un diniego; ma allo stesso tempo difficilmente vi dareste il permesso di farla perché il volere [ah, sì, che infiocchettiamo chiamandolo ‘il bene/la felicità’] altrui prevale sul proprio. ‘A volte bisogna!’ risponderà qualcuno. D’accordo, vi sono relazioni in cui la distribuzione del potere è polarizzata e il volere di questa parte soverchia l’altra: ricordate però che i voleri altrui vanno a braccetto con i nostri devo.
Quindi? Come nei diagrammi di flusso seguite la freccia e tornate al paragrafo precedente in cui vi punzecchio se tutti i vostri doveri sono davvero tali e se davvero non c’è scampo.
Quando ascolto i clienti dire non posso, non posso, non posso, mi viene in mente quella frase che dice più o meno: una porta può sembrare serrata se noi invece di spingere, tiriamo. Può accadere di non riuscire ad ‘uscire’ – scusate il gioco di parole – da una situazione solo perché convinti che la via sia ostruita sebbene non lo sia: la soluzione dunque è modificare come noi agiamo nel mondo.
La potenza dell’ipnosi tra le altre è proprio questa: allentare i limiti mentali che strutturiamo nel nostro pensare ‘ordinario’ ed aprire la strada alle alternative possibili che una volta intraviste divengono via via più reali e perseguibili.
Quindi per quali motivi ci diciamo non posso? Non posso perché non riesco, non ne sono capace, o non posso perché preferisco di no, ovvero non voglio fare una determinata cosa? Qui a mio avviso la musica cambia. Non faccio una cosa perché sono effettivamente impossibilitato ad intraprenderla o perché considero migliore un’alternativa?
Pare una banalità detta così, ma la sostanza è profondamente differente. Quando ci diciamo che non possiamo, sovente l’assunto da cui partiamo è che non abbiamo altre scelte: falso. La scelta c’è tra le alternative che stiamo trascurando di considerare: per fretta, svogliatezza, incuranza, miopia, ignoranza, rigidità. Appena provate a cambiare punto di vista e vi accorgete di quante altre possibilità vi sono oltre a quella scelta da voi – che può rimanere la medesima, non sto argomentando di cambiarla! – ne deriva un senso di padronanza impagabile.
Non mi stancherò di ribadirlo: le parole che utilizziamo danno forma ai nostri pensieri; se sento di aver un’unica scelta mi sentirò impotente e costretto, se sento invece di averne molteplici così da valutare la migliore, con flessibilità e creatività – atteggiamenti che si sviluppano anche grazie all’ipnosi – potrò sentirmi artefice del mio presente.
Volere
Veniamo allora al modale volere. Non nell’accezione del volere è potere – molto utile per una sferzata motivazionale – controbattuta spesso da l’erba voglio non cresce neanche nel giardino del re – a mo’ di consolazione quando le cose non vanno come desiderato o come rimprovero a chi esige capricciosamente troppo.
In questa sede mi preme sottolineare, a corollario delle considerazioni sopra riportate, come il verbo volere possa rappresentare il miglior alleato per non farsi schiacciare da pressioni e richieste esterne che diamo per assodate. D’ora in poi vi suggerisco di prestare attenzione ogni qualvolta affermerete/penserete ‘devo fare questa cosa…’; fermatevi un istante a chiedervi: devo? Devo davvero? O forse la faccio perchè voglio farla?
Quella che appare come una mera sostituzione lessicale dispone il soggetto [agente attivo!] a percepire il controllo di ciò che avviene. Infatti anche a fronte di una risposta affermativa – sì, la voglio fare – [lungi da me invitare al disimpegno!] su un piano implicito la nostra mente avverte la più bella delle sensazioni: la libertà. Sì, perché così come ora ‘la voglio fare’, il mio sentirmi libero mi permette di ‘non volerlo più’ qualora cambiassi idea.
La sensazione e convinzione di poter scegliere, credo sia tra le esperienze più esaltanti che l’essere umano possa sperimentare. Non dover scegliere talvolta solleva da responsabilità importanti e ci si nasconde dietro a retoriche e schemi cognitivi descritti appena sopra ‘devo far così – non posso far così’ che si traduce in ‘non dipende da me’. Un alibi perfetto. Perfetto in particolar modo per coloro che hanno troppo timore di cambiare.
Potere
Un paragrafo a parte lo merita il potere senza la negazione davanti. Spesso si utilizza questo verbo con un connotato di ‘permesso’, in una forma di cortesia, ma altri significati sono: avere la capacità, facoltà ma anche la possibilità di fare qualcosa. In alcuni contesti li si può interscambiare come sinonimi in altri decisamente no; con i termini polisemici abbiamo a disposizione potenzialità di espressione incredibili e i giochi di parole, motti di spirito, battute si reggono proprio su questa comunicazione multilivello [lo stesso approccio ipnotico ericksoniano utilizza la potenza della comunicazione a più strati].
Talvolta tuttavia credo che sia proprio questa commistione a tendere delle trappole paradossali nella presa di decisioni.
Vi sono contesti e convenzioni in cui l’utilizzo del verbo potere, ancor meglio se al condizionale, è un balsamo per le relazioni; ma per il proprio bene si deve prestare attenzione che esso non divenga un asservimento alla volontà altrui. Se l’utilizzo di questo modale ci rende eleganti e rispettosi in un ‘Posso usare la toilette?’ – ovvero ‘mi concedi l’autorizzazione ad utilizzare il wc?’ e quindi implicitamente comunica all’altro che può disporre di noi [vi pensate se rispondesse un secco ‘no! Non puoi!’], altro è subordinare tutto ciò che abbiamo la possibilità di fare, al consenso altrui.
Potere dà la libertà sia di fare che di non-fare ed è questa opportunità di scelta che fa la differenza tra chi subisce e chi gestisce le complessità dell’esistenza.
Uno dei momenti in assoluto che preferisco nella terapia è quando la persona che ho di fronte realizza nella propria mente che può fare=ha la possibilità di: cambiare, decidere, scegliere…e che dipende solo da lei, senza il benestare di nessuno, neppure il mio. Di solito c’è uno spalancarsi di occhi e un momento di silenzio dettato dall’intensa sorpresa. Sorpresa per qualcosa che ha sempre avuto sotto al naso ma che non vedeva.
Come concludere? Con una piccola ricetta: dosate i devo, chiedetevi i motivi dei non-posso, ascoltate le necessità e datevi la possibilità di.
Dott.ssa Daniela Bonato
Psicologa e Psicoterapeuta
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